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La prevenzione attraverso l’atteggiamento terapeutico del personale

Forse il nodo cruciale della questione sta proprio nella gestione dei problemi di comportamento delle persone dementi da parte degli operatori socio sanitari. Fino a non molto tempo fa si ritenevano i problemi di comportamento (ansia, agitazione motoria, vagabondaggio, aggressività fisica, aggressività verbale...) sintomi della malattia di alzheimer e della demenza. Come tali essi sono stati vissuti come inevitabili. L’operatore nulla poteva verso questo manifestarsi della malattia. In assenza di farmaci curativi si è ritenuto che l’approccio non potesse che essere sintetizzato in una maggiore contenzione farmacologica e nella contenzione fisica.

Guardando al bagno o alla doccia dalla prospettiva dell’ospite con demenza, vedremo un quadro diverso. Una persona che egli non riconosce entra nella stanza, lo rimuove dal letto, inizia a togliergli i vestiti, tutto contro le sue proteste verbali e non verbali. Le sue richieste di aiuto finiscono non ascoltate; altri ignorano le sue preghiere mentre viene condotto freddo e nudo, fatta eccezione per un piccolo lenzuolo che copre appena le sue parti intime . Le sue grida d’aiuto sono accolte solo con sorrisi occasionali o sono ignorate. Egli entra in una stanza fredda e sconosciuta, il lenzuolino viene rimosso e, ancora, contro i suoi desideri e proteste, viene spruzzato con acqua spesso troppo fredda o troppo calda, mentre questo estraneo tocca le sue parti intime.

In ogni altro contesto, quel comportamento verrebbe considerato un assalto. È così sorprendente che una persona confusa diventi aggressiva verbalmente e fisicamente in risposta?

Invece di interpretare questi comportamenti di resistenza o combattivi come un’indicazione che i dementi non possono più a lungo tollerare questo metodo di mantenere l’igiene e noi abbiamo bisogno di individualizzare il processo, etichettiamo la resistenza come un problema comportamentale e giustifichiamo il processo di forzatura dell’ospite a sopportare il trattamento, a volte anche dandogli dei farmaci contro la "resistenza all’assistenza"6.

Comunque, se impariamo dalla nostra esperienza a sviluppare alternative alla contenzione, inizieremo a cercare nuove forme per mantenere l’igiene che possano includere o non includere un bagno o una doccia di routine

Solo un diverso modo di leggere i problemi di comportamento e nel contempo la scoperta dell’insight del demente7 ha portato a modelli operativi nuovi.

Un modo utile per descrivere i comportamenti è di riferirsi alle difficoltà comportamentali come sintomi comportamentali; riconoscere che la causa del comportamento spesso esiste al di fuori dell’ospite - per esempio in un ambiente che non supporta; descrivere i sintomi comportamentali come riflessi di un bisogno non soddisfatto o non riconosciuto e/o una reazione a degli agenti stressanti presenti nell’ambiente (Burger, 1992)8.

Letto così il problema di comportamento diviene modificabile con l’intervento di tutti gli operatori coinvolti nell’assistenza, con l’aiuto della famiglia, con interventi sull’ambiente (considerato sempre più agente di promozione del benessere del demente e definito rispetto ai deficit tipici della malattia di alzheimer).
Il problema di comportamento è gestibile attraverso:

  1. Conoscenza della storia della persona (la sua storia di vita, la canzone, il profumo preferiti, i suoi studi, le sue abitudini) per permettere a ogni operatore una conoscenza approfondita dell’utente e soprattutto per definire un modello assistenziale che rispetti le sue abitudini. Considerare la casa di riposo come un insieme di regole valide per tutti e scrivere nella propria Carta dei Servizi che si pone al centro di ogni servizio l’ospite non è solo ingannevole ma anche di poco aiuto nella gestione dell’ospite e della famiglia.
  2. Ambiente idoneo che permetta la libertà nella sicurezza.
  3. Formazione permanente degli operatori. E’ di fondamentale importanza migliorare la capacità di relazione verso le persone affette da demenza e le loro famiglie.
  4. Diventare capaci di cogliere i segni del dolore fisico. Spesso la persona affetta da demenza, non in grado di esprimersi verbalmente e quindi di spiegare il suo dolore (quanto, dove, di che tipo...), cerca di farci comprendere il suo disagio attraverso un aumento dei suoi problemi di comportamento (camminerà di più, urlerà più forte, picchierà...) Formare gli operatori ad osservare e rilevare questi comportamenti è di fondamentale importanza.
  5. Promuovere attività continue durante il giorno che possano trarre memoria nella vita passata della persona affetta da demenza e che consentano il realizzarsi di gesti "antichi" (fare il letto, preparare la tavola, stendere la biancheria) e nel contempo proporre attività rilassanti (prendersi cura dei capelli, delle mani, del viso...) "E’ stato dimostrato che le strutture che trattano gli ospiti con calore e attitudine positiva, che incoraggiano l’autonomia e l’indipendenza, che stimolano la personalizzazione e le interazioni sociali e che non richiedono passività e docilità producono miglioramenti sostanziali del benessere e della salute" (Trabucchi M. 1992).

D’altra parte, più che mai in questi anni, si è compreso che il demente non è uno che non comprende più nulla, ma che spesso l’insight, la consapevolezza sono significativi. Ronald Regan scrisse all’esordio della sua malattia: "Sfortunatamente, il progredire del morbo di Alzheimer, fa sì che spesso la famiglia debba sopportare un carico molto gravoso. Io spero solo che ci sia qualche possibilità affinché Nancy non debba vivere questa dolorosa esperienza. Quando arriverà il momento io confido che con il vostro aiuto lei possa guardare alla malattia con fiducia e coraggio.Vi ringrazio per avermi dato l’onore di potervi servire come vostro Presidente. Quando Dio mi chiamerà a casa sua, qualunque sia il momento, io partirò con tutto l’amore che provo per questo nostro paese e con l’eterno ottimismo per il suo futuro.Ora inizierò il viaggio che mi condurrà verso il tramonto della mia vita. Sarà un lungo addio."

Un documento interessante rispetto alla consapevolezza di una persona affetta da demenza proviene da "Visione parziale"9, il primo libro al mondo scritto da un malato di alzheimer sull’alzheimer: " Penso che forse la cosa migliore che mi sia successa da quando convivo con l’Alzheimer sia che non sono stato privato della parola..va ancora abbastanza bene...Può anche darsi che io non sappia di cosa sto parlando, però, accidenti, riesco ancora a parlare. Faccio lo sforzo sincero di levarmi questo peso da cuore. Non sono mai stato zitto. Quando soffro urlo.

Lo faccio ormai da anni ed è perlomeno un modo per alimentare le mie riflessioni, un picnic a base di Alzheimer....

Vorrei che i malati di Alzheimer non continuassero a starsene sempre in disparte, ma dicessero, accidenti, anche noi siamo persone. E vogliamo che ci rivolgano la parola e ci rispettino, per Dio, come esseri umani. Mi riesce assai gravosa la mancanza delle cose che avevo prima. Prima riuscivo a parlare con le persone e a camminare senza dovermi chiedere se il pavimento c’è...Mi arrabbio quando inciampo su qualcosa. Credo che l’Alzheimer riguardi, oltre al cervello, anche quello che fanno mani e piedi.

Mi preoccupa tutto quello che supera anche pochi centimetri di altezza. La cosa si fa abbastanza seria. Sarò forse sciocco, perché anche se non stai per cadere o altro , hai l’impressione che sia così. La sensazione è questa. Qualche volta tutto l’insieme mi mette a disagio...mi sento solo maledettamente inutile. Provo semplicemente un certo senso di vergogna per non essere in grado di fare le cose ed essere così ottuso.

In parole povere, siamo goffi, smemorati e naturalmente i nostri caregiver lo capiscono, anche se talvolta penso che debba essere molto dura anche per loro...

Vogliamo che le cose vadano come prima. Ed è proprio questo che non riusciamo a sopportare, di non riuscire ad essere quello che eravamo...fa male da morire.

E un’altra cosa che fa impazzire dell’Alzheimer è che nessuno più vuole parlare con noi. Forse ci temono..ma possiamo assicurare tutti: certamente l’Alzheimer non è contagioso.

In effetti le persone con l’Alzheimer pensano- forse non pensano le stesse cose delle persone normali- ma pensano. Si domandano come le cose succedano perché succedano in un dato modo."

Probabilmente il giorno in cui saremo diventati capaci di ampliare le nostre conoscenze sulla demenza, di rendere flessibili i modelli organizzativi, di coinvolgere gli operatori e dare loro sostegno e sempre maggiori competenze, accogliere le famiglie e decidere insieme il progetto di assistenza individualizzata, progettare spazi terapeutici... beh, quel giorno la contenzione fisica e farmacologica non sarà più un problema.

Oggi è ancora una tragica emergenza...



A cura di:
Letizia Espanoli
Creation date : 2007-02-22 - Last updated : 2010-01-17

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