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L’accesso al sociale: da individuo/utente a cittadino/persona

«Una grande rivoluzione nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità...»
D. Ikeda - Filosofo buddista

Informazione e ascolto

Accanto all’informazione così concepita si introducono altri elementi quali l’ascolto, l’orientamento, la comunicazione. L’ascolto nella nostra società tende ad essere concepito come criterio di potere, di influenza, di capacità di ottenere consenso dagli altri, come capacità di condizionare gli altri piuttosto che come servizio nei confronti di chi è debole, di chi chiede di essere sostenuto, di chi chiede di essere conosciuto, compreso, ascoltato appunto, nelle proprie richieste e nelle proprie difficoltà.
Un Servizio che abbia la presunzione di dare risposte deve avere la tendenza all’ascolto per evidenziare anche sul piano terminologico e d’immagine come l’ascolto sia una posizione che si colloca esattamente all’opposto della posizione di potere, di pretesa. L’ascolto inizia quando accettiamo di rispettare e comprendere chi è di fronte, quando accettiamo di fare entrare nella nostra mente la parola e la comunicazione dell’altro, pur rimanendo noi stessi, quando accettiamo di metterci in una posizione di recettività, di apertura. L’ascolto responsabile potrebbe portare alcune risposte:

Quindi occorre una capacità di empatia e riconoscimento della soggettività della persona, capace di entrare in relazione e di mantenere un "filo diretto" ed in grado di fornire la percezione di essere al centro del sistema dei Servizi e non satellitare rispetto ad esso.
Del resto chi si rivolge ai servizi non sempre ha la semplicità e la capacità di "dirsi", di raccontarsi.
Il filosofo Emmanuel Lévinas, del resto affermava che descrivere la vita ordinaria, richiede più coraggio di un samurai! Questa impostazione si potrebbe scontrare con una sorta di iper informazione che spesso oggi risalta agli occhi. Certo una completa e compiuta informazione sui servizi, sulle prestazioni, sugli orari, sui luoghi, sulle pratiche, ecc. è utile, ma non basta anche perché la complessità e la generalità delle notizie da fornire è tale che lo sforzo organizzativo può non sempre soddisfare i bisogni e le richieste.
Forse è necessario tornare a pensare la necessità di farsi domande. E allora ecco alcuni esempi per coloro che sono deputati a dare responsabili/risposte:

Una risposta certamente non esaustiva è che l’accesso sociale è un livello informativo e di orientamento indispensabile per evitare che le persone esauriscano le loro energie nel procedere, per tentativi ed errori, nella ricerca di risposte adeguate ai loro bisogni. A questo scopo occorre in particolare evitare che proprio i cittadini più fragili e meno informati vengano scoraggiati nella ricerca di aiuto a fronte di barriere organizzative e burocratiche che comunque vanno rimosse per ridurre le disuguaglianze nell’accesso.
Sul piano organizzativo occorre quindi istituire in ogni ambito territoriale, definito ai sensi degli articoli 6 e 8, comma 3 lettera a) della legge n. 328/00, una "porta unitaria di accesso" al sistema dei servizi, tale da essere accogliente nei confronti della più ampia tipologia di esigenze e tecnicamente capace di assolvere le funzioni sopra indicate (...)
La funzione di accesso sociale risulterà tanto più efficace quanto sarà progettata e attuata in modo collaborativo con tutti gli attori sociali della rete e in particolare con le organizzazioni solidali presenti nel territorio, cioè con le forme di cittadinanza attiva e di promozione di diritti. (Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003)

L’evoluzione del grado di accesso

Senza soffermarci sull’evoluzione delle Politiche Sociali, realtà ben conosciuta, vorrei tracciare, in rapida sequenza, le varie fasi di approccio del cittadino rispetto al Sistema dei Servizi.
Siamo passati dal cittadino assistito (anni ’50/’60), con un sistema di protezione sociale statale dove gli interventi assistenziali vengono organizzati per categorie ciascuna con i propri specifici destinatari d’aiuto, i propri apparati, i propri pacchetti di prestazioni (Neve, 2000). Gli interventi sono volti in prima istanza ad obiettivi assistenziali riparativi a carattere residuale. Non sono assenti tentativi di "intervento di comunità", ma rimangono in una alveo profetico.
Poi viviamo la fase del cittadino utente (anni ’70/’80) nell’era delle grandi riforme sociali. Si affermano le impostazioni d’aiuto sociale in forte alternativa alle istituzioni totali con l’affermazione di un welfare universalistico con l’ente locale che si presenta come titolare pressoché dell’erogazione di servizi. E’ l’epoca della riforma sanitaria (L.833) e nascono nuove o rinnovate dimensioni quali il territorio, l’integrazione socio-sanitaria.
Il cittadino cliente si afferma alla metà degli anni ’80 nel periodo di crisi del welfare solo pubblico e assume rilevanza il "privato-sociale": volontariato (L. 266), la cooperazione sociale (L. 381), l’auto-aiuto, il benessere connesso agli aspetti relazionali (vedi i mondi vitali di Ardigò, 1980).
Da qui si sviluppa e si staglia il welfare mix, salgono alla ribalta temi quali la soggettività, dell’autodeterminazione, la concertazione, la pianificazione territoriale. (Gui, 2003)

Bisogno relazionale

Abbiamo notato la lenta, ma decisa evoluzione da un individualizzazione del bisogno con la connotazione di utente, cliente, all’affermazione di un vero paradigma di comprensione che possiamo definire "relazionale" (P. Donati) perché intende la società, ogni modo di essere del sociale - anche nell’economia, nella politica, nella cultura - come relazione sociale.
Quindi la nuova fase delle politiche sociali, dello scienziato del sociale, come dell’Operatore sociale, dovrebbe comprendere la società, vedendo, analizzando, interpretando e gestendo la relazione sociale.
Mi sembra di poter porre all’attenzione, senza voler dare una risposta, ma ponendo sottovoce una domanda, il fatto che finora le scienze sociali si siano orientate in una prospettiva individualista, ponendo anche innumerevoli rallentamenti alla dimensione della famiglia, enfatizzata come guscio di problemi e abbastanza limitatamente come risorsa e quindi difficilmente posta in grado di gestire, con supporti e sostegni, l’eventuale "problema" al proprio interno (vedi disabili, anziani non autosufficienti, ecc.).
La stessa cosa si può dire della comunità, del gruppo sociale, non intesi come astratti meccanismi e "cose", ma come realtà pulsanti che possano operare una presa in carico collettiva. Questo ha favorito, unitamente ad altri mutamenti sociali, il forte riflusso privatistico con la paura e la chiusura all’altro. In questo senso si può dire che a un livello più profondo sta andando in crisi l’idea di solidarietà sociale che sta alla base della concezione e delle pratiche dello Stato sociale tradizionale. Il paradigma relazionale è ciò di cui il sistema dei servizi ha bisogno per riuscire a distinguere l’umano nel sociale, e che cosa invece favorisce la sua dis-umanità o non -umanità. Questo, oltre a porsi in termini di risposta a bisogni personali, familiari e comunitari può portare un contributo ad una società sempre maggiormente destinata ad essere dominata dai puri interessi economici, dalla paura e dai rapporti di forza.(Donati, Colozzi, 2006)
Questa dimensione porta a porsi, forse, come facilitatori di un percorso sociale e non come un Dio minore, capace di una onnipotenza improponibile, spesso grave peccato non veniale degli Operatori sociali.


Indice
Parte I
  • Introduzione
  • Il percorso di una riforma
  • Quale informazione?
Parte II
  • Informazione e ascolto
  • L'evoluzione del grado di accesso
  • Bisogno relazionale
Parte III
  • Cittadino/persona?
  • Rispetto
Parte IV
  • La partecipazione e la sussidiarietà
  • Conclusioni
  • Bibliografia

A cura di:
Paolo De Maina
Creation date : 2007-04-29 - Last updated : 2010-01-11

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