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Unicità, creatività e strategie d’intervento

Successivamente alla strutturazione del tempo nel colloquio, si è cercato di attribuire ad ogni storia un’attenzione particolare, di unicità, rilasciando una valutazione accurata, che eviti eccessive generalizzazioni e che non proceda per stereotipi, stimolando e incoraggiando l’utente a sviluppare, piuttosto, un atteggiamento di creatività, d’inventiva e di capacità di sperimentazione e di risoluzione del problema, che si sgancia da un’ottica assistenziale prettamente legata alla richiesta che il cittadino esplicita; eh si…., perché il segretariato sociale è anche questo, una serie di bisogni non esplicitate dagli utenti, un lavoro sommerso da fare emergere o contrariamente una serie di richieste espresse a cui si possono offrire “solo due grandi orecchie” che ascoltano. Il lavoro relazionale è stato spesso svolto, con la consapevolezza di voler restituire all’utente non tanto delle soluzioni al problema, ma delle riflessioni, lasciando al cittadino la libertà di trasformarle in azioni.

Nei colloqui si attribuisce particolare attenzione al momento di “crisi” che attraversa l’utente come uno dei fattori che può portare dolore e sofferenza al punto da far avvicinare il cittadino ai servizi pubblici, in modo spontaneo o meno, tentando un processo di cambiamento o meno.
I cambiamenti possono portare la persona o all’eliminazione del sintomo di disagio, senza andare a modificare profondamente il sistema di vita, permettendo quindi di mantenere gli equilibri esistenti se non addirittura rinforzandoli; oppure a una trasformazione che conduce il sistema verso il raggiungimento di un nuovo equilibrio, attivando così un processo di aiuto.

Facendo delle domande mirate a capire il livello di motivazione che spinge l’utente al cambiamento, si riesce a definire che tipo d’intervento fare: se eliminare il problema e quindi scegliere di colludere con le richieste dell’utenza riconoscendogli una prestazione che non porterà a nessun cambiamento ma solo ad una riduzione del danno; se non erogare alcuna prestazione, andando a spezzare quei meccanismi assistenziali creati dall’utente e dalle istituzioni;se offrire la prestazione comunale perché si pensa ad una reale volontà di cambiamento e quindi un possibile progetto3 andando a rinforzare i punti che possono portare al cambiamento.

Nei casi in cui è stato possibile, si è “interpretata” la legge 154/97 che regola l’erogazione del contributo economico come un intervento integrativo di sostegno alla famiglia o all’utente. Una risorsa usata come elemento catalizzatore, legata all’avvio di un processo di cambiamento. In altri casi però, si è avuta la consapevolezza che nel servizio questo strumento è usato come intervento “tampone” a fronte di situazioni che si sono presentate con le caratteristiche dell’urgenza, rinviando un’analisi più approfondita ad un tempo successivo. O, in situazioni in cui s’intravedono problematiche ritenute complesse da affrontare rispetto alle risorse a disposizione del servizio e dell’utente, finendo per diventare un intervento di tipo puramente assistenziale.

Per superare i rischi di mero assistenzialismo, durante i colloqui ho cercato di allargare il campo di analisi ai vari componenti della famiglia, arrivando a capire quali tentativi sono stati fatti dai singoli per risolvere il problema; quali altri disagi la famiglia vivesse oltre alla mancanza del denaro; come mai si era arrivati a chiede aiuto in questo momento della vita dell’utente, e come mai ci si rivolge “all’estraneo di fiducia”4. Ciò mi ha permesso d’istaurare una relazione in cui l’aspetto materiale è si importante, ma non esclusivo, offrendo così all’utente “un paio di occhiali differenti” che fanno emergere risorse, interne ed esterne alla persona, seppellite da tempo; portandolo a riflettere sul ruolo dinamico che gioca nei sistemi e nei meccanismi che ai suoi occhi possono sembrare statici.
Puntare l’attenzione su queste dinamiche, ha portato i cittadini a pensare che la prestazione comunale non basta a risolvere il problema se questo non è affrontato ad altri livelli, dimenticandosi così molto spesso l’obiettivo principale per il quale si è arrivati al servizio.

Per fare ciò l’assistente sociale, in particolare l’assistente sociale del segretariato sociale, deve avere una caratteristica fondamentale: la flessibilità mentale. Perché stando in contatto diretto con il disagio di ogni tipo, dalle persone psichiatriche a quelle tossicodipendenti, ai senza fissa dimora, immigrati, anziani etc etc, ed avendo la caratteristica, in IV Municipio, di essere un servizio ubicato su strada, richiede interventi di immediato riconoscimento del bisogno e delle aspettative dell’utente, orientando quest’ultimo verso i servizi amministrativi o di welfare comunitario più idonei alle richieste. Inoltre deve sapere scegliere ed attuare le strategie interagendo in sinergia con i colleghi.



A cura di:
Stefania Scardala
Creation date : 2008-01-24 - Last updated : 2009-12-18

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